pane ed esilio

 di predrag matvejevic

Non ho percorso tanto mondo da saperne abbastanza sul pane, diceva il pellegrino.

Il pane è il mondo.

Non tagliatelo, rompetelo in pezzi.

Sbriciolate il pane sul palmo della mano, ci scongiurava il monaco di Rostov sul Don.

 La vostra preghiera sarà esaudita.

Per ricevere ci rimarrà solo pane e sale.

La vecchia aspettava ancora. I suoi figli si sono dispersi. Pane e acqua.

L’acqua pesante non scorre verso il mare. Così parlava il vagabondo.

Guardava a terra andando per il mondo.

Misuriamo i nostri passi, ma non abbiamo misura.

 Il proscritto s’è inoltrato nella steppa, al di là dello Ienissei.

Là il pane è distribuito un giorno per l’altro.

 Sparsa s’è la farina. Chi ci riunirà come un popolo allegro?

Del pane e del vino. Del pane e dell’amore, Vassilissa, per condividerli nel nostro autunno.

Queste parole sono estratte da una lettera, perduta nel cammino.

 S’è udita la voce del messo. Parlava ad alta voce perché non si perdesse nessuna sua parola.

 Pane e lievito, fratelli. Abbiamo camminato nel fango.

 Ci sono ancora limpide sorgenti. Abbiamo peccato gli uni nei confronti degli altri.

Si sono susseguite annate cattive, le spighe si sono piegate a terra.

Abbiamo dovuto nutrire gli eserciti. Pane.

Spose novelle, non cuocetelo, serbate nel fazzoletto le briciole per la quaresima e la comunione.

Le nevi custodiscono in terra i chicchi sani. Cantiamo a bassa voce, ci sentiamo appena.

 Un tozzo di pane e una crosta di terra.

 La Russia è piana, ho scritto alla fine, nella lettera a te, l’esiliato.