Cafè Infinity

Architects: RJDL Area:  2880 ft² Year:  2019 Photographs:Rahul Jain Manufacturers:  Saint-Gobain, Asian Paints, Parryware.

Cafe Infinity situato presso la ITS Dental College, Greater Noida è stato progettato per essere utilizzato come spazio ricreativo per studenti, docenti e pazienti. L’idea, alla base del progetto era quella di realizzare una struttura sostenibile che andasse oltre il convenzionale e spingesse i confini del design e della forma costruttiva. Il progetto, realizzato con i container per le spedizioni, combina insieme misura e modularità perfette oltre a una fattibilità economica nettamente più conveniente rispetto a una struttura convenzionale.

Il caffè è progettato per distinguersi grazie alla sua forma, al posizionamento, che rompe la rigidità del layout del sito esistente e alla componibilità, mentre l’interno viene mantenuto neutrale.

L’idea di design si concentra intorno a due cortili che si compone di due caffè nella parte anteriore ,due scale dinamiche che agiscono come posti a sedere e che forniscono l’accesso ai ponti di osservazione, servizi (servizi igienici) al contenitore centrale, aree salotto per docenti e visitatori e una zona salotto per gli studenti. La seduta è focalizzata intorno al cortile e fornisce un punto di vista ideale dei cortili interni e il paesaggio esterno, che è spesso utilizzato per eventi sportivi e altre attività dell’istituto.

Nel progetto è volutamente mantenuta la forma grezza dei container mentre la struttura, i servizi e la funzionalità sono progettati con un focus sulla sostenibilità. Il raffreddamento passivo e l’isolamento è fornito con l’uso di 50 MM Rockwool, un isolante costituito da pannelli di gesso e fibra di cemento che contribuisce , insieme al posizionamento strategico di finestre e aperture, a rendere per rendere l’edificio perfettamente adeguato alle condizioni climatiche estreme del sito.

L’idea di utilizzare il simbolo dell’infinito è stata concepita per sottolineare le infinite possibilità di utilizzare un container come unità strutturale, indipendentemente dal tipo di edificio e dal sito. La flessibilità, la modularità e la sostenibilità rendono i container un’alternativa perfetta alle strutture edilizie convenzionali (RCC), per ridurre l’impronta di carbonio complessiva e allo stesso tempo essere una soluzione ecologicamente ed economicamente valida.

plastic free

Le foglie di banana come imballaggio può sembrare strano per molti, ma non per Thai Supermarket e Rimping Supermarket situati a Chiangmai, in Thailandia. Queste realtà illuminate, scelgono così di fare la differenza nell’uso eccessivo della plastica nel mondo.

I dipendenti del settore frutta e verdura del supermercato, avvolgono le foglie di banana attorno alla frutta o alla verdura legandole con un nastro, quindi incollano un adesivo sulla foglia che mostra il codice e il prezzo del frutto o della verdura e un altro che informa che tutti i prodotti sono coltivati senza l’uso di pesticidi.

Sorprendentemente, gli alberi di banana possono anche crescere in climi più freddi dove ci sono temperature gelide, quindi è possibile che i mercati non in aree tropicali potrebbero anche utilizzare questa soluzione.

Vigna di Leonardo a Milano

Una storia dimenticata lega Leonardo da Vinci alla città di Milano: la storia di una vigna. La vigna che nel 1498 Ludovico il Moro, duca di Milano, regalò a Leonardo e intorno alla quale corrono leggende che coinvolgono il genio, le sue opere, i suoi seguaci; la vigna che rinasce oggi, finalmente, nel rispetto dei filari e del vitigno originari. La Vigna di Leonardo da Vinci rinasce con Expo 2015, per volontà della Fondazione Portaluppi e degli attuali proprietari di Casa degli Atellani, grazie al contributo decisivo dell’Università degli Studi di Milano. Nel 2007 sono partite le ricerche condotte dalla genetista Serena Imazio e dal professor Attilio Scienza, massimo esperto del DNA della vite, mediante scavo manuale, dei residui biologici vivi della Vigna Originale all’interno del giardino di Casa degli Atellani: ricerche che hanno portato al reimpianto della Malvasia di Candia Aromatica (la vite di Leonardo). Il 12 settembre 2018, per la prima volta, l’uva de La Vigna di Leonardo è stata vendemmiata dando vita al vino più unico al mondo: La Malvasia di Milano, Anno I.

STORIA

Dalla Firenze di Lorenzo il Magnifico, Leonardo da Vinci arriva a Milano, alla corte di Ludovico Maria Sforza detto il Moro, nel 1482. All’epoca, lui e Ludovico hanno entrambi 30 anni. Nel 1495 Ludovico gli assegna l’incarico di dipingere l’Ultima Cena nel refettorio di Santa Maria delle Grazie. Nel 1498 Ludovico concede a Leonardo la proprietà di una vigna di circa 16 pertiche.

“Immaginiamo Leonardo, al tramonto di una giornata di lavoro, mentre lascia il cantiere del Cenacolo, attraversa il Borgo delle Grazie e Casa degli Atellani, e raggiunge la sua amata vigna. Nell’aprile del 1500 le truppe del re di Francia sconfiggono e imprigionano il Moro e anche Leonardo lascia Milano, non senza aver prima affittato la vigna al padre del suo allievo prediletto Gian Giacomo Caprotti, detto il Salaì. Leonardo non smetterà mai di occuparsi della sua vigna: la riconquisterà quando i Francesi gliela confischeranno e in punto di morte, nel 1519, la citerà nel testamento, lasciandone una parte a un servitore e un’altra parte proprio al Salaì.”

dal sito : https://www.vignadileonardo.com/it/storia

San Francesco della Vigna – Venezia

San Francesco della Vigna rappresenta il vigneto urbano più antico di Venezia. Nel complesso di San Francesco della Vigna vi sono tre chiostri, due sono adibiti a orto e vigneto, nel terzo viene invece raccolta l’acqua piovana, usata poi per irrigare i vigneti. Oggi il vino prodotto dalla vigna si chiama Harmonia Mundi. Il ricavato delle bottiglie vendute (circa un migliaio) viene utilizzato per finanziare le borse di studio per gli studenti dell’Istituto di Studi ecumenici della facoltà di Teologia presente nel complesso. Il vino che verrà prodotto a partire dall’annata 2019 sarà a marchio Santa Margherita. Il lavoro in vigneto dei frati verrà seguito e coordinato dai tecnici di Santa Margherita, per arrivare a una gestione ottimale e a un’eccellente vendemmia. Santa Margherita si è inoltre assunta il compito di supervisionare il completo restauro della Cappella di San Marco, sempre all’interno del complesso. La Cappella versa infatti in stato di quasi abbandono e l’ultimo restauro risale al 1885.

Social Warming

Cucinare è un atto politico che viene scarsamente comunicato. A nessuno piace essere istruito e troppe spiegazioni in parallelo ostacolano la comunicazione. Social Warming è un pasto di cinque portate che arriva in abbinamento ad una serie di oggetti che inconsciamente comunicano idee, commentano valori o propongono visioni e percezioni alternative legate alla cucina di Marco Ambrosino, chef del ristorante 28 Posti. Un oggetto non funzionale ma comunicativo accompagna ogni piatto del menù degustazione, e attraverso la sua semplice presenza in tavola serve a generare curiosità. L’inserimento di questi “oggetti parlanti” estende la semplice ingestione di un pasto in modo divertente e gli permette di compiacere i sensi dando libero sfogo a idee, ideologie e politiche.

Social Warming è un progetto realizzato con gli studenti del Master in Food Design And Innovation della SPD, Scuola Politecnica di Design.

Social Warming
3-12 settembre 2021

28 Posti
Vis Corsico 1

Solo cena
Menu da 5-8-10 portate

Prenotazioni:
28 posti
email
tel 02-8392377

cibo-archeologia: Thermopolium di Pompei

Riporto un articolo preso dal sito Fame di Sud. Lo trovate in forma completa all’indirizzo: https://www.famedisud.it/a-pompei-riemerge-unantico-luogo-di-ristoro-con-i-suoi-bellissimi-affreschi/?fbclid=IwAR0WUqm1Yv3VWnHRq8beruOXQqsEUGGYBS2ZrkTZ99KGM9cnlHMM7qITwV0

di Redazione FdS

Pompei: a riemergere, questa volta, è la parte ancora sepolta del Thermopolium della Regio V, una delle numerose rivendite di cibo pronto per il consumo (una sorta di antenato dei nostri fast food) che costellavano la città vesuviana (se ne contano una ottantina). I termopoli, dove si servivano bevande e cibi caldi, come indica il nome di origine greca, conservati in grandi dolia (giare) incassati nel bancone in muratura, erano infatti molto diffusi nel mondo romano, dove era abitudine consumare il prandium (il pasto) fuori casa.
 
Scorcio del thermopolium della V Regio, Pompei - Ph. © Luigi Spina

Scorcio del thermopolium della V Regio, Pompei – Ph. © Luigi Spina

Lo scavo del thermopolium della Regio V è iniziato nel 2019 ma finalmente l’ambiente è riaffiorato per intero con altre ricche decorazioni di nature morte, rinvenimenti di resti alimentari, ossa di animali e di vittime dell’eruzione. Un ennesimo “fermo immagine” della città sepolta. A colpire è soprattutto la lucentezza dei colori che, al netto delle lacune provocate dal tempo, ci parlano del gusto per l’immagine evocativa così caro agli antichi al punto da caratterizzare pressoché ogni tipo di spazio.
 
La presunta insegna del thermopolium, Pompei - Ph. © Luigi Spina

La presunta insegna del thermopolium, Pompei – Ph. © Luigi Spina

L’impianto commerciale era stato indagato solo in parte durante gli interventi del Grande Progetto Pompei, ma considerate l’eccezionalità delle decorazioni (era già emersa l’immagine della Nereide su ippocampo e delfini che decora il fronte del banco di vendita e l’illustrazione della bottega stessa alla stregua di un’insegna commerciale) e al fine restituire la completa configurazione del locale, ubicato nello slargo all’ incrocio tra il vicolo delle Nozze d’argento e il vicolo dei Balconi, si è deciso estendere il progetto e di portare a termine lo scavo dell’intero ambiente.

 Di fronte al termopolio, nella piazzetta antistante, erano già emerse una cisterna, una fontana, e una torre piezometrica (per la distribuzione dell’acqua), dislocate a poca distanza dalla bottega già nota per l’affresco dei gladiatori in combattimento.
 
Affresco del bancone con  Nereide su ippocampo con delfini - Ph. © Luigi Spina

Affresco del bancone con Nereide su ippocampo con delfini, Thermopolium Regio V, Pompei – Ph. © Luigi Spina

Le decorazioni del bancone si sono dunque arricchite di altre immagini, come quelle presenti sull’ultimo braccio di bancone portato alla luce: scene di nature morte e rappresentazioni di animali, probabilmente macellati e venduti nel locale.
 
Natura morta con anatre germane, thermopolium, Pompei - Ph. © Luigi Spina

Natura morta con anatre germane, thermopolium, Pompei – Ph. © Luigi Spina

Frammenti ossei, pertinenti gli stessi animali, sono stati inoltre rinvenuti all’interno di recipienti ricavati nello spessore del bancone contenenti cibi destinati alla vendita.
 
Particolare del gallo raffigurato sul bancone del thermopolium, Pompei - Ph. © Luigi Spina

Particolare del gallo raffigurato sul bancone del thermopolium, Pompei – Ph. © Luigi Spina
 
Part. del cane e dell'iscrizione sbeffeggiante - Ph. © Luigi Spina

Part. del cane e dell’iscrizione di scherno – Ph. © Luigi Spina

Nel termopolio è stato inoltre rinvenuto diverso materiale da dispensa e da trasporto: nove anfore, una patera di bronzo, due fiasche, un’olla di ceramica comune da mensa. Il piano pavimentale di tutto l’ambiente è costituito da uno strato di cocciopesto (rivestimento impermeabile composto da frammenti in terracotta), in cui in alcuni punti sono stati inseriti frammenti di marmi policromi (alabastro, portasanta, breccia verde e bardiglio).
 
Alcune delle anfore ritrovate nel thermopolium - Ph. © Luigi Spina

Alcune delle anfore ritrovate nel thermopolium – Ph. © Luigi Spina

“Oltre a trattarsi di una ulteriore testimonianza della vita quotidiana a Pompei – dichiara Massimo Osanna, Direttore Generale ad interim del Parco archeologico di Pompei -, le possibilità di analisi di questo termopolio sono eccezionali, perché per la prima volta si è scavato un simile ambiente per intero ed è stato possibile condurre tutte le analisi che le tecnologie odierne consentono. I materiali rinvenuti sono stati, infatti, scavati e studiati sotto ogni aspetto da un team interdisciplinare composto da: antropologo, fisico, archeologo, archeobotanico, archeozoologo, geologo, vulcanologo. I materiali saranno ulteriormente analizzati in laboratorio e in particolari i resti rinvenuti nei dolia (contenitori in terracotta) del bancone, rappresenteranno dei dati eccezionali per capire cosa veniva venduto e quale era la dieta alimentare”.
 
Il bancone del thermopolium, Pomepi - Ph. © Luigi Spina

Scorcio d’insieme del bancone del thermopolium, Pomepi – Ph. © Luigi Spina

PRIMI ESITI DELLE ANALISI DEI REPERTI

Le prime analisi confermano come le pitture sul bancone rappresentino, almeno in parte, i cibi e le
bevande effettivamente venduti all’interno del termopolio: un frammento osseo di anatra è stato rinvenuto all’interno di uno dei contenitori, insieme a suino, caprovini, pesce e lumache di terra, testimoniando la grande varietà di prodotti di origine animale utilizzati per la preparazione delle pietanze. D’altro canto, le prime analisi archeobotaniche hanno permesso di individuare frammenti di quercia caducifoglie, probabilmente pertinente a elementi strutturali del bancone. Sul fondo di un dolio – identificato come contenitore da vino sulla base della bottiglia per attingere rinvenuta al suo interno – è stata individuata la presenza di fave, intenzionalmente frammentate/macinate. Apicio nel suo De re Coquinaria (I,5) ce ne fornisce il motivo, asserendo che venivano usate per modificare il gusto e il colore del vino, sbiancandolo.
 
I dolia incassati nel bancone del thermopolium, Pompei - Ph. © Luigi Spina

I dolia incassati nel bancone del thermopolium, Pompei – Ph. © Luigi Spina

 
Il gallo, thermopolium, Pompei - Ph. © Luigi Spina

Affresco col gallo, thermopolium, Pompei – Ph. © Luigi Spina


 

cibo e architettura

 
Si veda anche i primi testi di questo blog datati 2008. 

All'epoca il tema non era ancora trattato in modo così
intenso come dopo l'expo 2015, ma le mie ricerche erano già
orientate su questi argomenti che ora riporto in maniera
sintetica. 
Cucinare è una delle azioni più antiche del genere 
umano e  forse è la differenza più 
sostanziale tra noi e il 
resto degli animali con cui 
condividiamo il pianeta.

La cucina è essenziale? 
Cucinare il cibo ha aumentato le 
dimensioni del nostro cervello, ha assicurato 
la sopravvivenza delle specie, 
ci ha reso più socievoli, 
ha accelerato la creazione di comunità, 
ha permesso la migrazione verso altri territori
e ci ha dato un'identità culturale. 

Era essenziale costruire? 
L'edificio ci ha permesso di rifugiarci 
dalle intemperie,
stabilirci in luoghi specifici, 
in un certo senso, 
ha trovato una casa e siamo riusciti 
a definire 
uno spazio finito per chiamare 
il nostro spazio. 

Cosa definisce un ottimo piatto? 
Un piatto grande 
deve presentare ingredienti 
di alta qualità nel loro punto di 
cottura ottimale come condizione 
sine qua non. 
Tuttavia, solo con ottimi prodotti, 
non otteniamo un cibo eccellente ma è la creatività 
dello chef che gli conferisce 
la sua straordinaria natura.
Cosa definisce la buona architettura? 
La buona architettura, come il buon cibo, 
non si verifica solo con la 
combinazione di materiali squisiti 
applicati con le migliori tecniche, 
ma ha bisogno della capacità di un architetto 
che dia senso alla costruzione. 
Cibo e architettura, queste sono parole i cui 
significati sono molto più che semplici termini 
di sopravvivenza oggi. 
La figura dello chef è cresciuta 
in modo tale che ora condivide un 
livello con la figura dell'architetto 
che è sceso nella sua posizione corretta,
uno che è lontano dalla grande stella 
dotata di talento innato.  
L'idea di interazione tra questi concetti, 
mangiare e vivere, i miei due piaceri, 
è ben sviluppata in esso!

All'Expo universale 2015 si è tenuta 
la prima mostra che
voleva essere riconosciuta non solo per 
la sua architettura,
ma anche per il suo contributo 
al dibattito e all'educazione sul tema 
"Nutrire il pianeta, energia per la vita" 
dunque nutrizione, cibo e risorse a livello globale. 
A seguito di questa stessa iniziativa, 
la mostra “FOOD dal cucchiaio al mondo”  
allestita presso il MAXII di Roma  
analizza l'interazione di queste due 
discipline su scale diverse: 

CORPO
Come la rappresentazione dell'ultimo pasto di un 
prigioniero nel braccio della morte è in grado di 
generare una riflessione sulla dimensione spaziale 
e temporale di una cellula

STRADA
Dabbawala, un'attività commerciale iniziata 125 anni fa 
e che attualmente impiega 5000 persone che 
distribuiscono ogni giorno 200.000 "scatole". 
C'è una codificazione che funge da guida in tutta la città. 




 
CITTÀ 
Dal 18 ° secolo, gli architetti hanno perseguito 
l'utopia della perfetta integrazione tra città 
e agricoltura, luoghi in cui il cibo è l'attore 
principale nella qualità sociale dell'"effetto città". 
PAESAGGIO  
Paesaggio, agricoltura e cibo sono una triade 
onnipresente nel dibattito sui territori contemporanei.
MONDO 
Global Seed Vault, dell'architetto 
Peter W. Sødermann È il più grande magazzino di sementi 
al mondo, creato per salvaguardare la biodiversità 
delle specie coltivate che fungono da alimento in caso 
di catastrofe globale. 


Alla fine tutto è riassunto nelle parole di 
Rafael Cubillo: Possiamo imparare molto sul 
cibo e sull'architettura, uno può integrare l'altro, 
sia in ispirazione che in metodologia, 
senza cadere nella ricetta. »



Classificazione: 1 su 5.

Bentōteca.

bentoteca-milano-2

 

Nel mondo della ristorazione bisogna reinventarsi e rimodularsi per poter ripartire. È da qui che parte la Bentōteca, il nuovo progetto milanese dello chef Yoji Tokuyoshi che prevede bentō e udon kit da abbinare a vini naturali.
Bentoteca-Udon-Kit
Dopo l’esperienza quasi decennale come sour chef di Massimo Bottura, nel 2015 Yoji Tokuyoshi ha trovato posto nel panorama della ristorazione milanese grazie a una proposta di difficile definizione: ingredienti italiani per realizzare una cucina contaminata “esclusivamente nelle idee e non nei sapori”, come sottolinea lui stesso.
Bentoteca-vini-naturalisabakatsu-bento
Una cucina ben lontana da certe derive fusion, tutte ingredienti esotici e reinterpretazioni di classici nostrani. La Bentōteca è la concretizzazione di un’idea che da tempo lo chef Yoji Tokuyoshi aveva in mente:
“Prima che scoppiasse la pandemia già stavo pensando di aprire un locale di gastronomia giapponese. Certo, doveva essere altrove ma dato che non ho intenzione di riaprire il Ristorante Tokuyoshi, non prima di settembre almeno, allora lo adibisco a laboratorio per la mia bentōteca dove creeremo bentō e udon kit”, ovvero dei pasti completi, come tradizione giapponese comanda, ma stravolti dalla creatività di Tokuyoshi. “Ho voluto cambiare tutto, senza però dimenticare da dove vengo. Vorrei che la cucina della Bentōteca rappresentasse i sapori giapponesi sempre mantenendo una chiave di lettura occidentale”

“La presentazione e l’impiattamento saranno molto curate e tra gli ingredienti ci saranno l’anguilla, lo sgombro panato, le ali di pollo fritte, gli yakitori. E poi ai bentō affiancheremo qualche zuppa, come lo sukiyaki, e abbineremo vini naturali. Il prezzo sarà super competitivo, si va dai 12 euro per il pranzo ai 18/20 per la cena. “Dobbiamo raggiungere quante più persone possibili”. 

yakitori-bentoxxx-

Milano – via San Calocero, 3 – www.bentoteca.com

ONA

“Se stai leggendo questo, probabilmente ti stai chiedendo due cose: 1)cosa significa ONA; 2)cosa fa esattamente ONA”.
In catalano, ONA significa onda. Stiamo creando una comunità di chef, produttori di cibo e produttori di vino che cavalcano l’onda insieme, lungo un flusso di eventi emozionanti.

Racconta l’ideatore Luca Pronzato. Padre italiano, madre spagnola e cittadinanza francese, che dopo tre anni al Noma di Copenhagen ha deciso di puntare tutto sulle nuove generazioni e su un progetto dall’animo globetrotter.

unnamed

Che cosa è un buon pranzo? Prima di andare a cena fuori, ci chiediamo “Cosa mi va di mangiare oggi?” Qualunque sia la risposta, sappiamo sempre dove possiamo trovarla. Se è la pizza che vogliamo, andiamo in un ristorante italiano, se è una quesadilla, andiamo in un ristorante messicano, e così va…
Al giorno d’oggi, ci aspettiamo esperienze onnicomprensive e costanti novità quando si esce a cena. Siamo abituati a non correre rischi, quindi andiamo in un posto familiare, nel nostro quartiere, dove il menu è sempre lo stesso. Ma che dire dell’assunzione di rischi? Che dire dell’esperienza di essere piacevolmente sorpresi? ONA è nata per i curiosi frequentatori di ristoranti, per coloro che si assumono il rischio di apprezzare la creatività, il gusto e la sostenibilità. Creiamo esperienze alimentari uniche ed effimere in luoghi inaspettati. Possiamo piombare nella vostra città e trasformare il luogo dove si cammina ogni giorno e dare ad esso un nuovo nome e scopo – forse solo per pochi giorni. Quando è finita, ci lasciamo alle spalle qualcosa che non sarà sperimentato di nuovo. Proprio come un’onda.

Perché?

“ONA vuole responsabilizzare i giovani chef nel definire l’arte del cibo e del vino. Riconosciamo i desideri degli chef per le residenze stagionali e a breve termine, e liberiamo completamente l’espressione artistica dei giovani, senza mai dimenticare che il vero obiettivo è fornire un pasto che gli ospiti adorano.
Il ONA Touch? Creiamo esperienze effimere in luoghi e ristoranti inaspettati. Li ri-progettiamo, creiamo un’atmosfera, fornendo una nuova squadra e una nuova identità.
Sosteniamo i produttori alimentari e i loro metodi  coltivazione. Sosteniamo i viticoltori e le loro storie di successo per tutta la vita.
ONA è la celebrazione di questa comunità di talenti e produttori, tutti riuniti per creare un’esperienza culinaria indimenticabile per i nostri ospiti, sempre diversa, sempre unica.
Andiamo a cavalcare l’onda insieme.”

 

1

ONA è dunque un ristorante in continuo movimento: cambia la sede, personale, mise en place e  il menù. Sempre garantita è l’alta qualità del servizio e della proposta culinaria, affidata ai migliori sous-chef in circolazione.

slide4

«L’idea è di creare un punto di incontro in giro per il mondo, offrendo ogni volta un’esperienza unica.»

 

 


Un bosco urbano a Malaga

thumb-2_4_732x400
Il consiglio comunale di Malaga ha approvato una mozione per costruire un Bosco Urbano, su un terreno di 177.000 m2 che apparteneva a Repsol, invece del parco con grattacieli e centro commerciale, che era previsto per questo terreno.

Secondo “La Opinión de Málaga”, questo Bosco Urbano è destinato a fungere da polmone della città. A questo proposito, sono state adottate altre misure di carattere ambientale, quali l’aumento e il miglioramento di “aree verdi urbane utili per abitante”, nonché la costruzione di una cintura verde che circonda la città.

A questo proposito, Francisco Javier López, uno dei fondatori della piattaforma cittadina “Bosque Urbano Málaga”, ha confessato, in dichiarazioni al quotidiano citato, che le azioni politiche “devono essere compatibili con la protezione dell’ambiente e aumentare la dotazione di aree verdi”.